28/12/17

Gnosi e Nichilismo Operoso


GNOSI (fragmenta) -  La moderna produzione industriale si dimostra sempre di più di essere un fare senza realmente vedere, la cui sovrabbondanza inquinante soffoca ogni altra aspirazione di sviluppo possibile, quasi a costringere la persona, soverchiata dall'imperante disarmonia, ad una sorta di consapevolezza impotente nel rettificare lo squilibrio abnorme in cui è coinvolta. Il pericolo maggiore è che la consapevolezza, progressivamente inclinata sul riscontro di un degrado irreversibile, s’immerga completamente nella visione che domina il cosiddetto “progresso”, il quale, internamente ai suoi motivi è sovranamente contraddistinto da una tensione puramente nichilista. Questa nuova forma di nichilismo operoso, attraverso la meccanizzazione ossessiva estingue i significati maggiormente profondi rileganti l’essere alla manifestazione.

In sostanza, è l’antica questione che connette la Forma all’Evento, enigma mirabilmente custodito dalle Civiltà cosiddette ‘Classiche’ e miseramente profanato nell’era della produzione meccanicizzata. L’incomprensione profonda dell’identità – della nostra identità – e quindi, per riflesso, l’incomprensione stessa del ‘senso superiore’ da cui promana e dei significati che sarebbero propri all’agire, dell’agire inteso come soluzione centrata del divenire, altera i luoghi in cui viviamo mediante una contaminazione composita che l’uomo sembra ormai totalmente incapace a rimediare.   

E’ all’opera una macroscopica opera di rincoglionimento generalizzato. Prolifica una spuria dottrina new-age inneggiante all’emancipazione del pensiero e della coscienza, la quale, per come è spiegata in queste pubblicazioni, appare solo come un’estensione rarefatta dell’ego terreno. In campo materiale quanto mistico la sola parola d’ordine reiterata a forza è quella di Emancipazione, peraltro, senza che ci si renda conto di quanta infida astrazione sia contenuta in questo termine così tanto insistentemente riecheggiato nei meandri destinali della vita.


All’interno di questa accuratissima griglia sub-atomica non si opera solo col facile pensare e né si comprende col solo fattibile operare, oggi costituito da un determinato agire altamente composito ma intimamente cieco. La cosiddetta realtà non è quella che si vede o che si pensa, né diviene altro da quello che è per il solo fatto che uno possa pensarla diversamente da ciò che in sostanza essa struttura. E’ la rivelazione di Morpheus a Neo, arguita da antiche cosmogonie gnostiche, secondo le quali noi agiamo preordinati all’interno di un complesso tramaglio energetico, il cui primo significato è quello di costituire una pura rappresentazione allegorica, l’ingannevole teatro del tragicomico dramma esistenziale. La cifra meno evidente del nostro patire sarebbe dunque avviata da un inganno ancestrale.

Che cosa ho fatto? Non sono nessuno, non ho fatto niente, niente! (Neo). In ciò le scuole mistiche di oriente e occidente trovano comune accordo. L’inganno cosmico è inganno propriamente ontologico innestato sul perno, peraltro estremamente malfermo, dell’io storico occasionale che qui incarniamo, assolvendo in questo all’inesplicabile fatalità che ci qualifica come esseri umani.


Scorre all’interno delle frequenze addensanti la realtà fisica il residuo della primigenia, increata, ‘ingenua essenza geniale’ filtrata tra le giunture della maestosa e dispersiva architettura universale. Unicamente da questo impercettibile sopravanzo sensibile scaturirebbe l’innata facoltà umana della ‘reminiscenza’, ossia, l’attivazione della Coscienza Superiore connessa agli Stati inesprimibili dell’Essere, occasionalmente ottenebrato nella sua precipitazione nel giro delle Ere.

Non avvalendosi dello strumento solo materiale dell’intelligenza che l’uomo può prefigurare se stesso quale ‘atanor’ vivente, ideandosi come un’identità remotamente multiforme e splendente e in cui riversare, con infinita pazienza, le esigue stille di quella ‘rugiada celeste’ necessaria all’elaborazione interiore del proverbiale ‘oro potabile’ o ‘medicina aurea’, valevole al compimento dell’emblematica trasfigurazione spirituale. 


In un certo senso, l’alambicco ritorto e annerito dell’ego occlude l’entrata all’atanor della Coscienza Superiore, che arriva a disperdersi dimentica di sé nelle sue stesse incontaminate profondità. L’alambicco dell’ego non può assimilare la residua facoltà geniale preesistente alla manifestazione attuale, che respinge attirando solo le frequenze più basse, quelle occorrenti alla solidificazione dell’inganno, al compattamento dell’illusione atavica stratificata nell’affermazione completamente sviante dell’IO SONO.

L’Io sono, astutissima contraffazione innestata nell’involucro uomo dal Demiurgo, è rafforzata tanto nell’affermazione che nella negazione stessa di ogni valore metafisico: Io rinnego qualsiasi Dio o, all'opposto, posso affermare di credervi: mi assolvo in Dio, mi rimetto a Lui, Lo Prego, Lo Adoro, Lo Temo; il fondamento dell’inganno archetipale non muterebbe in ogni caso di significato (piacere e dolore, ugualmente, alcune concezioni di bene o male, assolvono alla medesima funzione coagulante questo intricatissimo intrappolamento primordiale).

La proiezione psichica o ‘elementale’ della coscienza, individuata nella sostanziale incomprensione dell’io sono, perdura sicuramente anche dopo l’estinzione vitale del corpo fisico, dove l’essenza maggiormente sottile dell’identità è attirata su di una trama d’illusioni certamente meno densa di quella materiale ma non per questo meno vischiosa.

La via d’uscita che apre verso il ‘centro trascendentale’, è dissimulata dall’inganno arcontico, in cui il personale baricentro emozionale di ognuno costituisce il preminente motivo di attrazione verso la gravità di un universo prevalentemente formato di suggestioni svianti. Per questo motivo tutte le scuole sapienziali affermarono che il passaggio a questa vita è un essenziale momento di preparazione, di preminente formazione interiore.


In ciò, l’evento meteorologico del ‘fulmine’ si prefigura come l’irruzione del principio di verità in un mondo di tenebre, quale irruzione momentanea ma ugualmente certa del ‘centro trascendentale’, sulla cui Rivelazione subitaneamente corrono ad addensarsi le forze contrarie dell’inganno primordiale: gli elaborati sistemi organizzati delle religioni rivelate, le cui dottrine non sono da rigettarsi interamente, ma, andrebbero attentamente vagliate e maggiormente oggi, appunto, di questi tempi di pretesa emancipazione.

Il pesante rivestimento normativo, oltre ad una significazione storico materialista ricopre il principio dell’ispirazione originaria, della ‘Grazia’, il cui simbolico carattere ‘illuminante’, peraltro, è ciò su cui maggiormente insiste il magistero degli antichi Misteri, riverberato fin dentro il nucleo del messaggio evangelico.  

L’evidenza della menzogna è il nostro stesso riflesso nello specchio, è la stessa ostinazione nel voler credere al ‘salvatore celeste’, o a credere nella supremazia della sola ragione, così come nel credere di essere o di non essere, perché in fondo, l’insegnamento misterico del magistero alchemico, (la sua più elevata veggenza) verterebbe proprio sull’inesplicabile circostanza di una prodigiosa distillazione intima, per la quale, in ultimo, l’ispirazione ‘alata’ può realizzare ad un livello maggiormente profondo di comprensione, che con l'affermare ‘io sono’ non va intesa l’ordinaria identificazione di se stessi: poiché essere realmente 'se stessi' varrebbe l'estinzione completa di sé. Quale verità apparentemente più scomoda e amara di questa? 

Il compimento ultimo dell’uomo, dunque, consisterebbe nel realizzare quell'ineffabile stato di suprema vacuità, (il Ku della disciplina Zen)arrivando a idearsi nell'estremo superamento di se stesso quale transitorio involucro contenente una luminosa perfezione di vuoto.  

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