fragmenta - Percorriamo il
tratto attuale, che poi sarebbe la “via notturna dell’ultima Era”, avvalendoci
di un flebilissimo barlume – la residua consapevolezza rimastaci –
insufficiente ad illuminarci i passi estremamente affrettati e pericolosamente
incerti.
La funzione del
dominio industriale (questo dovrebbe essere ormai evidente) è solo quella di
renderci sempre più poveri e crudeli, e questo indipendentemente dal possibile
privilegio materiale che possiamo aver acquisito.
Non può esserci
un effettivo desiderio alla realizzazione di sé senza possedere la capacità di
agire profondamente in se stessi, una prerogativa questa che è fornita
unicamente dalla reale consapevolezza.
La consapevolezza
è chiarità intima, è come un lume, è la vampa simbolica che tradizionalmente
avvolge il devoto cuore ardente, è il proverbiale fuoco evangelico, (Lc
12,49-53) la fiamma segreta dell’animo rinchiuso nell’intricato labirinto di
ambigue profondità psichiche.
Privati del senso
dell’interiore luce archetipale, per noi non è possibile accendere o ravvivare
nessun ideale autenticamente nobile =
che mira all’effettiva indipendenza dell’essere.
Ciò che si
qualifica come meccanico e ripetitivo, produttivo ma sterile e contaminante,
soffoca inesorabilmente questa fiamma emblematica e l’animo rimane separato dai
motivi della sua remota verità (realtà geniale).
Nella società
della macchina e del consumo ossessivo, l’inconscio è equivocato con l’essere
un’inquieta giostra onirica, un girotondo senza senso dove continuamente
s’inseguono, accavallandosi scompostamente le une alle altre, le più disparate
fisime e le più scompaginate fantasie; attitudini fuorvianti esaltate ai
massimi livelli d’intensità dall’ossessiva propaganda pubblicitaria.
Col dover
necessariamente interagire con questo stato di cose prevalentemente artefatto,
molte volte la persona se priva dei giusti strumenti cognitivi, è destinata a
divenire nemica a se stessa.
La finalità di
questo tipo di progresso è quella di saldarci ad un nucleo di eminente non
senso, di esiliarci in una deleteria dimensione artificiale.
Gli aspetti
preminenti (che sono essenzialmente contaminanti) di quest'anomalia
contemporanea, se non fossero continuamente dissimulati da un’accanita forma di
violento condizionamento ipnotico, più o meno subliminale, si rivelerebbero
pienamente per quello che sono; ovvero, una snaturante condizione obbligata,
che principalmente disfà, sovverte come niente prima poté fare, l’armonia e
l’ordine autentici.
L’economia può
essere considerata solo una forma di elaborata amalgama, che salda tra loro i
diversi elementi produttivi di cui si compone l’abnorme struttura del profitto.
Qui, i cosiddetti “interessi” sarebbero come le diverse mura di un unico
edificio persuasivo, dentro il quale gli individui vengono ammaestrati
all’adozione di abitudini fondamentalmente deleterie e contrarie alla loro
effettiva emancipazione.
L’immane
struttura economica, caricaturalmente riflessa nell’attuale società dei
consumi, dimostra non conoscere confini geografici o etnici, gettando le
fondamenta della sua nascosta intelaiatura nelle profondità di un terreno
terribilmente oscuro, gravemente approssimato ad aspetti non comunemente dati
della realtà. Economia e hi-tech costituiscono il nostro perimetro detentivo,
che tanto più diviene invasivo maggiormente si rende sfuggente e caratterizzato
da forme di controllo sempre più ossessive. Questa ispezione continua, in
definitiva, dimostra che tale sorveglianza in realtà è preordinata per
verificare lo stato d’avanzamento cui è giunta l'avviata plastificazione degli
individui: in sostanza, delle nostre coscienze.
Nell’attuale
dominio del preconfezionato e del sottovuoto, tutti devono adeguarsi a nuovi
parametri di normalità. L’idea normalità oggi è sinonimo di assemblaggio
uniforme, sinonimo di una continuità monotona. Normale è equivocato con ciò che
si palesa per essere tristemente scontato, rigorosamente cablato, aridamente
verificato e uniformato per assolvere ad una reiterata prevedibilità
esistenziale; quando invece, originariamente, la Norma (normale) intendeva le
differenti modalità adottate dalla persona per acquisire la conoscenza, della
sapienza, affatto disgiunta dai suoi motivi sovrasensibili.
La norma ara
attinente la gnosi, dunque, prevedeva l’estensione, necessariamente diseguale,
dell’attitudine caratteristica della persona autenticamente centrata, di coloro
che ottemperando all’idea di presenza integrale, recepiscono e affinano le
intuizioni superiori. Con esse s’intende intuizioni trascendenti, riflesse
anche e soprattutto nel manufatto artigianale (sia esso tempio o mobile o
spartito). Fino a un dato
momento storico l’ideale regno della normalità lambiva i confini dell’amabilità
e del meraviglioso.
Che fare dunque?
La percezione maggiormente evidente è che oggi la presa di coscienza non
concerne nulla di edulcorato e non riguarda affatto raffinate soluzioni
intellettuali o fuorvianti aspettative messianiche.
Una natura
d’insolita bellezza e segreto orrore è l’uomo, primordialmente rivestito di se
stesso, involontariamente camuffato da se stesso, sovrapposto a se stesso attraverso
una continua menzogna latente che l’ordinaria quotidianità, modernamente
intesa, ricopre d’insignificante grigiore esistenziale, dissimulato da
composite stravaganze; che sono tonte luminescenze completamente inutili a
valorizzare il mistero aureo della persona.
In fondo, le
anime che siamo non sarebbero affatto la proiezione ideale, la perfettibile
fattura immateriale di un amorevole demiurgo, ma forse, assai più
veridicamente, una sua amara e maggiormente recondita, (forse involontaria)
atroce, contraddittoria, tragica emanazione. Prodigiosi barlumi di lampeggiante
consapevolezza sospesa sulla voragine cosmica. Penose e chiarissime scaturigini
luccicanti, provenienti da un vuoto o dimensione ineffabile, da cui furono
ingannevolmente strappate e precipitate prima ancora che l’istante vedesse
l’avvio. Cadute, come inconsueti fallimenti iridescenti, ritorte in se stesse,
ravvoltolate nella loro stessa incomprensione. Fuoriuscite dal grembo dell’Eone
e insaccate a forza nella materia. Semidivino parto degenere, aborti viventi e
gementi la loro impotenza di fronte al cataclismatico evento universale in cui
precipitarono e che infinitamente le sovrastata.
L’anima è
imperfetta crisalide di luce, in cui, nonostante tutto, sopravvive l’istinto di
una soffertissima redenzione cosmica e identificata essere come il solo
principio della sua libertà ontologica.
Dare fondamento
alla Redenzione, ottenerne l’intimo significato, qui risiederebbe l’ultimo
frammento operativo dell’unica liturgia, della sola alchimia concepibili e che
non siano una mera favola, o diletto degenere in uso ad egoità eccitate e
annoiate.
Convergere
pazientemente l’identità attraverso interiori profondità non misurabili:
essendo noi estremamente diminuiti della necessaria forza interiore, avendo in
massima parte disperso il “calore ermetico generativo” che è alimentato da
idonei supporti artigianali e conseguentemente spirituali, dunque, poter
ridestare la consapevolezza, immersi come siamo nell’attuale “pantano
radiogeno”, richiede un impegno tenace e inesprimibile, quasi del tutto
assurdo.
Tale intima
discesa implica il nostro affondamento profondo in profonde delusioni, in molte
amarezze e dispiaceri, sopportando la pressione buia di abissali smarrimenti.
Solo in tali circostanze e non da altri confortevoli allettamenti pseudo
mistici siamo chiamati a sublimare la nostra misteriosa essenza, (il corpo è àtanor
vivente) a ricavare, se mai ne saremo capaci, il nostro unico e prodigioso
farmaco.
A un dato momento
non è più lecita la disattenzione, il facile compiacimento, poiché “voraci ombre”, che sono gli stessi servi
dell’allegoria evangelica, o guardiani del varco immateriale. Tali infide
entità, assolvendo al loro predatorio mandato originario, non aspettano altro
che il momento propizio per immobilizzarci e impedire il compimento dell’opera
propriamente spirituale (splendente orditura interiore). Risuona profondamente
veridico il significato simbolico delle parole che si trovano in Matteo 22,
1-14 e indirizzate a chi non aveva provveduto a indossare per tempo
l’emblematico abito nuziale “Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e
piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti …”
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