GNOSI
(fragmenta) - La moderna produzione
industriale si dimostra sempre di più di essere un fare senza realmente
vedere, la cui sovrabbondanza inquinante soffoca ogni altra aspirazione di
sviluppo possibile, quasi a costringere la persona, soverchiata dall'imperante
disarmonia, ad una sorta di consapevolezza impotente nel
rettificare lo squilibrio abnorme in cui è coinvolta. Il pericolo maggiore è
che la consapevolezza, progressivamente inclinata sul riscontro di un degrado
irreversibile, s’immerga completamente nella visione che domina il cosiddetto
“progresso”, il quale, internamente ai suoi motivi è sovranamente
contraddistinto da una tensione puramente nichilista. Questa nuova forma di
nichilismo operoso, attraverso la meccanizzazione ossessiva estingue i
significati maggiormente profondi rileganti l’essere alla manifestazione.
In
sostanza, è l’antica questione che connette la Forma all’Evento, enigma
mirabilmente custodito dalle Civiltà cosiddette ‘Classiche’ e miseramente
profanato nell’era della produzione meccanicizzata. L’incomprensione profonda
dell’identità – della nostra identità – e quindi, per riflesso,
l’incomprensione stessa del ‘senso superiore’ da cui promana e dei significati
che sarebbero propri all’agire, dell’agire inteso come soluzione centrata del
divenire, altera i luoghi in cui viviamo mediante una contaminazione composita
che l’uomo sembra ormai totalmente incapace a rimediare.
E’
all’opera una macroscopica opera di rincoglionimento generalizzato. Prolifica
una spuria dottrina new-age inneggiante all’emancipazione del pensiero e della
coscienza, la quale, per come è spiegata in queste pubblicazioni, appare solo
come un’estensione rarefatta dell’ego terreno. In campo materiale quanto
mistico la sola parola d’ordine reiterata a forza è quella di Emancipazione,
peraltro, senza che ci si renda conto di quanta infida astrazione sia contenuta
in questo termine così tanto insistentemente riecheggiato nei meandri destinali
della vita.
All’interno
di questa accuratissima griglia sub-atomica non si opera solo col facile
pensare e né si comprende col solo fattibile operare, oggi costituito da un
determinato agire altamente composito ma intimamente cieco. La cosiddetta
realtà non è quella che si vede o che si pensa, né diviene altro da quello che
è per il solo fatto che uno possa pensarla diversamente da ciò che in sostanza
essa struttura. E’ la rivelazione di Morpheus a Neo, arguita da antiche
cosmogonie gnostiche, secondo le quali noi agiamo preordinati all’interno di un
complesso tramaglio energetico, il cui primo significato è quello di costituire
una pura rappresentazione allegorica, l’ingannevole teatro del tragicomico
dramma esistenziale. La cifra meno evidente del nostro patire sarebbe dunque
avviata da un inganno ancestrale.
Che
cosa ho fatto? Non sono nessuno, non ho fatto niente, niente! (Neo). In ciò le
scuole mistiche di oriente e occidente trovano comune accordo. L’inganno
cosmico è inganno propriamente ontologico innestato sul perno, peraltro
estremamente malfermo, dell’io storico occasionale che qui incarniamo,
assolvendo in questo all’inesplicabile fatalità che ci qualifica come esseri
umani.
Scorre
all’interno delle frequenze addensanti la realtà fisica il residuo della
primigenia, increata, ‘ingenua essenza geniale’ filtrata tra le giunture della
maestosa e dispersiva architettura universale. Unicamente da questo
impercettibile sopravanzo sensibile scaturirebbe l’innata facoltà umana della
‘reminiscenza’, ossia, l’attivazione della Coscienza Superiore connessa agli
Stati inesprimibili dell’Essere, occasionalmente ottenebrato nella sua
precipitazione nel giro delle Ere.
Non
avvalendosi dello strumento solo materiale dell’intelligenza che l’uomo può
prefigurare se stesso quale ‘atanor’ vivente, ideandosi come un’identità
remotamente multiforme e splendente e in cui riversare, con infinita pazienza,
le esigue stille di quella ‘rugiada celeste’ necessaria all’elaborazione
interiore del proverbiale ‘oro potabile’ o ‘medicina aurea’, valevole al
compimento dell’emblematica trasfigurazione spirituale.
In un
certo senso, l’alambicco ritorto e annerito dell’ego occlude l’entrata
all’atanor della Coscienza Superiore, che arriva a disperdersi dimentica di sé
nelle sue stesse incontaminate profondità. L’alambicco dell’ego non può
assimilare la residua facoltà geniale preesistente alla manifestazione attuale,
che respinge attirando solo le frequenze più basse, quelle occorrenti alla
solidificazione dell’inganno, al compattamento dell’illusione atavica
stratificata nell’affermazione completamente sviante dell’IO SONO.
L’Io
sono, astutissima contraffazione innestata nell’involucro uomo dal Demiurgo, è
rafforzata tanto nell’affermazione che nella negazione stessa di ogni valore
metafisico: Io rinnego qualsiasi Dio o, all'opposto, posso affermare di credervi:
mi assolvo in Dio, mi rimetto a Lui, Lo Prego, Lo Adoro, Lo Temo; il fondamento
dell’inganno archetipale non muterebbe in ogni caso di significato (piacere e
dolore, ugualmente, alcune concezioni di bene o male, assolvono alla medesima
funzione coagulante questo intricatissimo intrappolamento primordiale).
La
proiezione psichica o ‘elementale’ della coscienza, individuata nella
sostanziale incomprensione dell’io sono, perdura sicuramente anche dopo
l’estinzione vitale del corpo fisico, dove l’essenza maggiormente sottile
dell’identità è attirata su di una trama d’illusioni certamente meno densa di
quella materiale ma non per questo meno vischiosa.
La
via d’uscita che apre verso il ‘centro trascendentale’, è dissimulata
dall’inganno arcontico, in cui il personale baricentro emozionale di ognuno
costituisce il preminente motivo di attrazione verso la gravità di un universo
prevalentemente formato di suggestioni svianti. Per questo motivo tutte le
scuole sapienziali affermarono che il passaggio a questa vita è un essenziale
momento di preparazione, di preminente formazione interiore.
In
ciò, l’evento meteorologico del ‘fulmine’ si prefigura come l’irruzione del
principio di verità in un mondo di tenebre, quale irruzione momentanea ma
ugualmente certa del ‘centro trascendentale’, sulla cui Rivelazione
subitaneamente corrono ad addensarsi le forze contrarie dell’inganno
primordiale: gli elaborati sistemi organizzati delle religioni rivelate, le cui
dottrine non sono da rigettarsi interamente, ma, andrebbero attentamente
vagliate e maggiormente oggi, appunto, di questi tempi di pretesa
emancipazione.
Il
pesante rivestimento normativo, oltre ad una significazione storico
materialista ricopre il principio dell’ispirazione originaria, della ‘Grazia’,
il cui simbolico carattere ‘illuminante’, peraltro, è ciò su cui maggiormente
insiste il magistero degli antichi Misteri, riverberato fin dentro il nucleo
del messaggio evangelico.
L’evidenza
della menzogna è il nostro stesso riflesso nello specchio, è la stessa
ostinazione nel voler credere al ‘salvatore celeste’, o a credere nella
supremazia della sola ragione, così come nel credere di essere o di non essere,
perché in fondo, l’insegnamento misterico del magistero alchemico, (la sua più
elevata veggenza) verterebbe proprio sull’inesplicabile circostanza di una
prodigiosa distillazione intima, per la quale, in ultimo, l’ispirazione ‘alata’
può realizzare ad un livello maggiormente profondo di comprensione,
che con l'affermare ‘io sono’ non va intesa l’ordinaria
identificazione di se stessi: poiché essere realmente 'se stessi' varrebbe
l'estinzione completa di sé. Quale verità apparentemente più scomoda
e amara di questa?
Il compimento ultimo
dell’uomo, dunque, consisterebbe nel realizzare quell'ineffabile stato
di suprema vacuità, (il Ku della disciplina Zen)arrivando a idearsi
nell'estremo superamento di se stesso quale transitorio
involucro contenente una luminosa perfezione di vuoto.
Nessun commento:
Posta un commento
I COMMENTI RIPETITIVI, VOLGARI OD OFFENSIVI VENGONO RIMOSSI A DISCREZIONE DEGLI AMMINISTRATORI DEL BLOG