fragmenta - Nell’ambito della
lotta dei valori tradizionali in rotta di collisione costante con la
fase ferrica, in diversi momenti storici si sono registrate diverse riprese e rinvigorimenti
dello spirito tradizionale.
Quanto
attualmente si prefigura
invece è un aberrazione appena immaginabile. All’uomo post-moderno sembrerebbe
competere una sopravvivenza solo larvale, definita come tale per l’infima
qualità del suo sentire interiore, ridotto a traccia di mero calcolo
utilitaristico.
L’intelletto si
degrada ad essere la triste appendice di un arido sistema
digitalizzato, in cui la prodigiosa “facoltà immaginale”, oggi
anticipata come qualità antitetica alla funzione assolta di successive sequenze
formali, è decretata come “elemento incoerente” e dunque soppressa dalle
dinamiche del “rinnovamento"
Inutile
insistere sulla desolante povertà strutturale che dovrebbe sostenere i nostri
motivi esistenziali.
Lo sgomento a
poco serve. Le fonde inquietudini, le tensive e contrastanti oscillazioni
dell'animo essenzialmente smarrito di fronte a tanto scempio, se mal
“temperate” in realtà andrebbero ad alimentare quell'immane eggregora di
assoluto non-senso che attualmente "aleggia" sull'ultima porzione di
quest’età, propriamente oscura.
Da questo brodo
elettrochimico in cui ci fanno galleggiare è ancora possibile distillare, per
mezzo di una condotta essenzialmente retta, l'elemento aureo che occorrerà alla
nostra “rinnovata esistenza futura".
“La ricetta è
una soltanto: affrontarsi, scendere dentro di sè, scoprirsi;
scoprire come in realtà non si agisca, ma si sia agiti, e combattere la propria
battaglia per la libertà, l’unica che esista per l’uomo: la signoria su se
stesso.
Bisogna
“essenzializzarsi” come ci ammonisce Evola: da qui ogni atto potrà ridivenir
magico, da qui potrà essere propiziato l’avvento del Nume
Pan: egli è morto solo nei cuori di coloro che hanno rinunciato alla
propria natura di uomini. Per coloro in cui l’antico Fuoco arde ancora, ancora
è avvertibile, la magica Armonia che promana dal flauto del Dio”.
(Rivista “Mos
Maiorum”, anno II, n. 2).
L’identità
geniale degli elementi, sebbene invisibile, non rimane insensibile ad un
particolare "accordo" interiore che possiamo evocare accostandoci
“intimamente radicati” ai residui spazi ancora ricolmi di naturale bellezza.
La
prefigurazione trascendente riguarda una condizione ineffabile dell’essere che
quaggiù ci rimane completamente estranea, quasi non ci appartenesse
minimamente.
Quanto di più
ignoto e inconoscibile l’uomo custodisce in sé, lì è la sua effettività. Ciò
che è consueto e apparentemente familiare come la sua immagine riflessa nello
specchio è un puro abbaglio, occasionale momento di sviamento per il quale è
inutile porsi il perché, ma fondamentale interrogarsi sul come (procedere).
Scusa Ghigo ma io di Marcianò penso questo:
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